La strategia del terrore…

 

Proprio nei giorni dell’anniversario del sisma, c’è chi vuole capitalizzare consenso politico adottando la strategia del terrore e lo fa purtroppo su basi completamente anti-scientifiche.
Ad esempio prendiamo questo evento: si chiamano dei professori, si chiede loro di parlare di trivellazioni e di depositi di gas sotterraneo. Tutti progetti con un certo impatto ambientale e che personalmente mi vedono fermamente contrario. Ora qualcuno prende questa iniziativa e nel diffonderla utilizza il termine “sismicità indotta”, non si sa se in accordo o meno con gli stessi relatori.
PREMESSA: io sono ASSOLUTAMENTE contrario al deposito sotterraneo di gas, e sia ben chiaro che lo sono ancora di più in terre che hanno dimostrato, ahimè, la loro sismicità. Perchè in caso di terremoto un deposito di gas non garantisce la sicurezza assoluta, molti studiosi e geologi hanno avanzato delle perplessità, ergo ben ha fatto la

Regione a chiedere lo stop del progetto insieme alle amministrazioni comunali interessate.
Ma ci tengo a definire come DEMENZIALE e priva di qualsiasi giustificazione scientifica, la strampalata teoria che siano state proprio trivellazioni di campionamento a scatenare un sisma di magnitudo 6 della scala Richter. Un tubo di pochi centimetri di diametro che scende qualche centinaio di metri nel sottosuolo, scatenerebbe uno sciame di un migliaio di terremoti lungo una faglia di 50 km, con ipocentri ad una profondità variabile tra i 3 e i 15 km, e che liberano energie pari a svariate volte l’esplosione di una bomba atomica?!?! Terremoti del genere NON si inducono con un carotaggio!!!

Allora perchè siamo arrivati a questo punto? Perchè si diffondono VOLUTAMENTE messaggi anti-scientifici che si allargano a macchia d’olio tra una popolazione provata da una catastrofe naturale e si utilizza la paura e il dolore, che molti portano ancora dentro, per una battaglia che invece avrebbe tanto di nobile.
A volte la disonestà intellettuale lascia davvero basiti. “Siamo morti e circondati” è vero, la “creduloneria” è sempre stata tra gli handicap più gravi del nostro popolo e chi la coltiva perde la mia stima, perchè con le falsità perde di valore anche una battaglia che invece andrebbe condotta con i giusti mezzi. Come un anno fa ancora oggi: teniamo botta!

Quando la Terra trema…l’Uomo risponde!

Vi propongo un’intervista pubblicata sul magazine on-line formiginese l’Appunto nella quale cerco di di raccontare la mia esperienza nelle zone colpite dal sisma.
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Cosa sta accadendo nella Bassa e come reagisce la popolazione al terremoto. Tra tensione e nuove abitudini, una diapositiva da cui ripartire per il futuro.

di Giulia Santunione e Juri Fontana

Da “vicini di casa”, molti di noi hanno modo di ascoltare e di toccare con mano la voglia che quelli della Bassa hanno di rialzarsi. Una voglia che quasi fa invidia. Abbiamo incontrato chi, dalla prima scossa, si trova in quella parte di provincia per farci raccontare come vanno la cose da chi le vede da vicino. Qui con noi, Juri Fontana, giovane modenese impegnato nell’emergenza del sisma sia per professione che per attività di volontariato. Juri in questo mese  ha visitato in pratica tutti i comuni della Bassa, sia nelle sue zone rosse che nei campi di sfollati. Dopo la prima settimana a Finale, si è spostato a Concordia, San Possidonio, San Felice, Camposanto, Carpi, Novi, Medolla, Cavezzo. Ultimamente si trova  soprattutto a Mirandola. In pratica ha fatte l’en plein.

Qual è stata la reazione immediatamente successivo al terremoto che ha colpito l’Emilia da parte del resto della provincia di Modena ( e della regione)?

Già nei primi minuti dopo la scossa della mattina del 20 maggio s’era capita la dimensione dell’emergenza. Le immagini di campanili crollati, vecchi edifici ridotti in mucchi di macerie, che hanno affollato prima la rete e poi le edizioni straordinarie dei TG hanno subito fatto capire che le popolazioni colpite avevano bisogno di aiuti immediati. La Protezione Civile s’è allertata a livello nazionale e ha inviato immediatamente le colonne mobili di molte regioni italiane, mentre molti volontari si precipitavano dalle zone limitrofe verso l’area dell’epicentro senza sapere che cosa si sarebbero trovati di fronte e come sarebbero stati impegnati.

Quali sono state le maggiori difficoltà della protezione civile e dei gruppi di volontari nel gestire l’emergenza?

Nelle primissime ore ci si è dovuti sincerare che non ci fossero persone intrappolate sotto le macerie, non solo all’interno dei centri abitati ma anche nelle campagne isolate. Quindi fornire assistenza sanitaria ai feriti. Poi, il problema maggiore è stato mantenere gli abitanti, scossi e provati dal sisma, a distanza di sicurezza da edifici pericolanti che con le scosse d’assestamento sarebbero potuti crollare definitivamente. In situazioni del genere è difficile tenere ordine e calma, anche perché la tensione di chi presta i primi soccorsi è altissima. Passate le prime ore, gestire l’emergenza significava assicurare ad ogni cittadino un riparo per la notte successiva, qualcosa da mangiare e da bere. Le colonne mobili della Protezione Civile, nel frattempo arrivate da tutta Italia, hanno seguito dei piani comunali già predisposti ed è  iniziato così il montaggio dei campi per gli sfollati.

Protezione Civile a parte, quanto è importante l’aiuto dei volontari che a migliaia lavorano per l’Emilia? Quali sono i ruoli che ricoprono?

E’ un aiuto fondamentale. Oltre al lavoro immenso e svolto con estrema professionalità dai volontari della Protezione Civile, formati ed addestrati a gestire situazioni del genere, sono fondamentali anche i tanti volontari che decidono di mettersi spontaneamente a disposizione. Il tutto deve avvenire sempre in coordinamento coi Comuni e con la Protezione Civile. Inoltre il loro aiuto aiuta a concentrare il personale con più esperienza laddove serve.

Sono tanti i comuni che hanno raccolto materiale da donare…come è gestito il tutto una volta arrivato a destinazione?

I Comuni che donano materiale si interfacciano direttamente con le Amministrazioni comunali delle aree colpite che a loro volta distribuiscono sul territorio il materiale secondo le necessità. Gli aiuti dei Comuni però non riguardano solo oggetti ma anche servizi. Ad esempio mettendo a disposizione dei Comuni terremotati i propri dipendenti: vigili urbani, personale dell’Ufficio Tecnico, ingegneri, operai, per sopperire all’immensa mole di lavoro che altrimenti non si riuscirebbe a smaltire in tempi brevi.

Sono tanti anche i fondi che si stanno accumulando a favore dei terremotati. Come verranno utilizzati

Le associazioni che si sono attivate lanciando raccolte fondi sono numerose. Ognuna deciderà come utilizzare il denaro raccolto e come rendicontarlo. Alcuni si dedicano all’acquisto di beni di prima necessità, mentre altri puntano a dare un aiuto nella ricostruzione vera e propria degli edifici. Chi vuole contribuire, può scegliere cosa finanziare o nell’indecisione suggerisco di versare utilizzando il conto corrente gestito dalla Provincia di Modena per la riattivazione dei servizi scolastici nelle zone colpite dal terremoto.

Ad oggi, le case  non crollate sono state svuotate? Quante persone sono state trasferite in altri comuni non terremotati?  Si conosce il loro futuro più prossimo?

Le case completamente rase al suolo sono solo una minima parte. Molti edifici però, pur essendo in piedi, sono inagibili e alcuni andranno comunque demoliti perchè irrecuperabili. Le verifiche dei Vigili del Fuoco e degli ingegneri stanno giungendo al termine. Solo le case agibili possono essere ri-abitate da subito, tutte le altre rimarranno vuote fino ai lavori di sistemazione, ma in alcuni casi potrebbe volerci molto tempo. Attualmente sono 11.000 i modenesi che non possono rientrare nelle proprie abitazioni, quindi sfollati a tutti gli effetti. Oltre 8.500 sono alloggiati nei 28 campi gestiti dalla Protezione Civile, mentre 2.500 sono stati alloggiati in alberghi della Riviera o dell’Appennino. A questi vanno però aggiunti svariate centinaia di persone che si sono organizzate in campi “auto-gestiti”, persone che hanno la casa agibile ma non se la sentono di rientrarvi, oppure con casa inagibile ma che hanno rifiutato la sistemazione presso i campi ufficiali della Protezione Civile. E’ ovvio che costoro non potranno usufruire degli stessi servizi di chi vive nei campi veri e propri, anche se i Comuni e molti volontari stanno facendo il possibile per rendere loro le cose più semplici.

Com’è che le persone stanno cercando di riprendersi la loro quotidianità? Quale esempio ci stanno lasciando gli Emiliani?

Purtroppo in questa fase è possibile assaggiare la quotidianità a cui molti erano abituati solo a piccoli pezzi. Alcuni sfollati hanno ricominciato a lavorare, chi in stabili che comunque hanno retto, chi a Modena, Ferrara, in zone meno colpite dal sisma. Molti s’organizzano per uscire con gli amici di sempre, andare in vacanza al mare (magari in anticipo rispetto al solito). Ma quando si rientra alla sera si torna a dormire in una tenda e non nella propria casa.

La convivenza dopo settimane di tendopoli diventa sempre più un esercizio di pazienza e tolleranza. Il caldo torrido di questi giorni non aiuta e vivere da più di un mese in tende da dieci posti a stretto contatto con estranei, fare la fila per la mensa tre volte al giorno, avere a disposizione solo bagni chimici o un paio di docce in un container per centinaia di persone… Tutto ciò metterebbe a dura prova chiunque. Certo, nei campi possono capitare momenti di tensione e qualche testa calda coglie sempre l’occasione per comportarsi come non dovrebbe. Ma in generale ciò che non si sarebbe ritenuto tollerabile nella normalità viene sopportato senza battere ciglio da molti ospiti dei campi. Le piccole difficoltà che fino a qualche tempo fa avrebbero rovinato la giornata, oggi vengono superate con un sorriso. Gli Emiliani (sia “autoctoni che trapiantati”) sono sempre stati famosi per il loro pragmatismo, ed è nella difficoltà che si manifesta tutto lo spessore di questa gente.

Oltre ai soldi per la ricostruzione, di cosa in questo momento la gente della Bassa ha più bisogno?

Ormai è alle spalle la gestione dell’emergenza vera e propria. Molti, assorbito lo shock, stanno iniziando a chiedersi cosa succederà. I prossimi mesi saranno cruciali per la ripartenza. Penso proprio alla parola “ripartenza”  piuttosto che a “ricostruzione”, perchè se la prima implica sempre la seconda, non è detto il contrario. Il ruolo delle istituzioni non può e non deve esaurirsi con la risistemazione dei muri di un municipio. Gli Emiliani non hanno bisogno di uno Stato che si presti solo ad aprire a momenti alterni (viste le ristrettezze economiche) il rubinetto dell’elemosina. Servono certezze e determinazione. Piani strutturali di distretto e a lungo termine. Ogni Euro investito nella ripartenza di questa splendida terra, operosa e solidale, frutterà doppio al paese intero. Non dimentichiamo che è stata colpita un’area che produce da sola quasi il 2% del PIL nazionale. Non si dovrà mai dare l’impressione di voler prolungare il temporaneo in definitivo.

Il terremoto ha colpito forte ma non è stato un colpo da KO: siamo in ginocchio, ma l’arbitro sta ancora contando i secondi e nelle gambe c’è la forza per rialzarsi. Gli Emiliani ci stanno mettendo tutta la determinazione e la voglia. Ma sta anche a chi governa dare la sicurezza che ogni minimo ostacolo burocratico verrà prontamente rimosso per evitare di avere anche solo per un secondo voglia di gettare la spugna.

qui li link all’articolo originale

Terrorizzare o prevenire? Il ruolo dello Stato nelle calamità naturali.

E’ notizia di qualche giorno fa dell’allarme che la Commissione Grande Rischi ha diffuso in merito ad eventuali nuove scosse nelle zone già colpite dal sisma del 20 e 29 maggio e della marea di polemiche che ha sollevato tra amministratori e sfollati. Nel frattempo aumenta sempre di più la rabbia degli imprenditori che accusano la “burocrazia” di bloccare ingiustamente l’apertura degli stabilimenti e di portare così il distretto economico della Bassa Modenese a spegnersi lentamente.
Tutto questo da lo spunto per riflettere sul ruolo dello Stato durante un’emergenza come quella del terremoto emiliano.

E’ burocrazia o prevenzione non aprire i capannoni senza certificato di anti-sismicità, prima che siano effettuati lavori di messa in sicurezza? E’ vero che nessuno prima del 20 maggio si preoccupava della sicurezza dei luoghi di lavoro. Lo Stato ha implicitamente la responsabilità di aver sottovalutato negli anni il rischio sismico. Ma è altrettanto vero che una volta manifestatosi il rischio, in modo ahimè tragico, lo Stato non ha altre strade che utilizzare il principio di precauzione, per diminuire al massimo la vulnerabilità dal sisma di cose e soprattutto persone.

Non c’è alternativa! Capisco lo sgomento degli imprenditori e dei lavoratori e la frustrazione di amministratori locali e cittadini nell’apprendere gli effetti concreti delle risultanze delle riunioni tra i VV.FF., della Protezione Civile e i sismologi della Commissione Grandi Rischi.
Non capisco l’acredine però. Lo Stato è lento, manca di flessibilità e fa pesare sulla gente tutte le sue inefficienze. Ma lo Stato deve fare quello che ci si aspetta da chi amministra la comunità al più alto livello. Ora come ora questo ruolo è PROTEGGERE. Anche a costo di perdere produttività. Ai più sembrerà retorica, ma perdere la vita non è minimamente paragonabile a perdere un mese di stipendio. Quindi vista la sproporzione tra i due rischi, viene ampiamente compensata la sproporzione tra la probabilità (bassa) di ulteriori forti scosse, rispetto alla probabilità (più alta) che il sisma vada attenuandosi.

La speranza che tutto finisca al più presto e che si lasci spazio così alla voglia di ricominciare una volta per tutte, è forte. Ma insieme alla speranza ci dobbiamo dotare un’altra “virtù”: la pazienza. Di pazienza avremo bisogno nei prossimi mesi e anche nei prossimi anni. Finiti gli “ostacoli” posti dalla natura, inizieranno gli ostacoli posti dagli uomini. Andranno evitati con la massima determinazione, ma senza cedere al nervosismo nemmeno per un secondo, perchè così facendo si perderebbe solo di determinazione ed efficienza. L’Emilia ha bisogno di lucidità, mancarne sarebbe inevitabilmente un torto verso una comunità che soffre e che ha bisogno di essere guidata e non distratta!