Il “Caso Sallusti” e due cose che non mi tornano…

Ci sono molti aspetti da analizzare nella faccenda di cui a questo link: http://www.repubblica.it/politica/2012/09/26/news/sallusti_colpevole-43317168/?ref=HREA-1

Premetto: in un paese libero non si può andare in carcere per qualcosa che hai scritto. Ma ci tengo a dire una cosa: Sallusti è abilissimo nello sfruttare i limiti oggettivi della giurisprudenza e a far credere che ci sia dietro un progetto persecutorio o peggio ancora eversivo.
Riepilogo sintetico dei fatti: un certo “Dreyfus” (che molti pensano sia poi lo stesso Sallusti) chiede pubblicamente con un articolo su Libero che lo Stato UCCIDA un proprio servitore, nella fattispecie un giudice, come punizione per una decisione che lo stesso ha preso seguendo le leggi in vigore. Ora vien da sè che ciò deve costituire reato penale in ogni paese civile! Il giudice querela il direttore che viene condannato da tutti i gradi di giudizio, in poche parole è colpevole. Quindi il nostro perseguitato politico ha a disposizione un milione di alternative al carcere: poteva pagare 30.000€ (che sarebbero andati in beneficenza) al diffamato/ingiuriato, oppure poteva chiedere una pena alternativa con affidamento ai servizi sociali o la sospensione della pena con la condizionale visto che non ha condanne penali in sospeso. Eppure è da settimane che Sallusti dichiara che rifiuterà ogni compromesso e che andrà in carcere.

Domanda: fino a che punto può spingersi la libertà di stampa? Secondo me fino concettualmente fino all’infinito, è un diritto civile! Ma ritengo che la libertà di un individuo sia limitata solo dalla libertà individuale del tuo prossimo: allora la libertà di stampa, sacrosanta, non si può scontrare con la tutela delle persone.
Non si possono diffondere, su un media nazionale, proclami in cui si chiede la morte di chi ha fatto il proprio dovere in nome della Repubblica Italiana.
Quindi è giusto che paghi, che paghi finanziariamente e non col carcere, ma evidentemente Sallusti, visto come ha scartato questa evenienza, ci tiene a passare per martire della Giustizia Italiana, ben sapendo che non potrebbe che acquisirne visibilità a fronte del rischio minimo di passare effettivamente anche solo una notte in cella. Se si vuole garantire libertà di stampa, si evitino inutili sceneggiate.

Grillo – Favia, Favia – Grillo…

Stasera mi son sorbito Giovanni Favia ad Otto e Mezzo e faccio le mie considerazioni: non credo alla tesi del fuori-onda concordato, ma la mia opinione su di lui non cambia di una virgola: si vende (e si vendeva) per qualcosa che non è (e non è mai stato!).
Non è un criminale, ci mancherebbe, ma ho capito perchè Beppe Grillo l’ha mezzo scaricato. Favia è un ottimo politico, astuto e capace di reggere la parte, ha dei buoni “fondamentali”, se non fosse che non s’è mai messo alla prova come amministratore, mi ricorderebbe per alcuni aspetti Matteo Renzi (di cui scimiotta la parte). Questo Casaleggio e Beppe Grillo lo sanno benissimo e hanno deciso (per il “loro bene”, non per quello del M5S) che andava immediatamente emarginato: il punto di caduta dell’ambizione degli uni va in direzione opposta a quella dell’altro.
Da una parte un’anti-politica solo di facciata ma che utilizza tutti gli strumenti politici a disposizione per affermarsi (Favia), dall’altra demagogia pura che esaspera i soliti populismi italioti (tutti ladri, no all’Euro, no agli stranieri, si a matrimoni gay ma atteggiamenti omofobi, l’aids non esiste ma la cura Di Bella funziona, ecc…) che non può trovare una vera gestione dal basso come fingono di voler fare e soprattutto non potrà mai garantire nessuna prospettiva di governo (e questa Favia furbescamente lo rimarca molto…adesso…).
Hanno paura ad espellerlo subito e brutalmente come fatto con gli altri pesci più piccoli e non vogliono creare un caso “Tavolazzi” elevato al quadrato per paura di spaccare il Movimento, soprattutto in Emilia-Romagna dove la maggioranza sta con Favia. Tutto potrebbe risolversi a taralucci & vino come nella “migliore” tradizione politica italiana ma personalmente credo che alla fine “Casaleggio & Dissociati” lavoreranno dietro alle quinte per convincere, a furia di citazioni di Fabrizio De Andrè, i militanti a trombarlo alla prossima assemblea semestrale, magari in una provincia meno “faviana” delle altre, mentre sul blog di Grillo è già iniziata la propaganda di regime ma il buon Beppe, ancora indeciso, non ci mette la faccia. Immagino siano ore travagliate, quel che è certo che il Movimento 5 Stelle non tornerà quello di prima, e le possibilità che la trasformazione sia “in positivo” sono ridotte al lumicino.

Renzi – Bersani, Bersani – Renzi…

Renzi – Bersani, Bersani – Renzi: ma il vero problema del Partito Democratico è soprattutto altro. Sono quei dirigenti che nel congresso 2009 sostenevano a spada tratta Pier Luigi Bersani, incensandolo, mentre dopo solo un paio d’anni ne dicono ogni male possibile. Sono coloro che allora raccontavano di come D’Alema avesse fatto molto per il centrosinistra italiano e oggi invece ne parlano come di un pluri-decennale moloch da abbattere. Sono quelli che oggi sostengono Bersani forti di posizioni di minoranza andate strumentalmente all’incasso al momento più opportuno. Sono quei dirigenti che da anni si sparano cannonate incrociate sui giornali, salvo poi ritrovarsi sempre seduti allo stesso tavolo a sostenere lo stesso candidato, riportati all’ordine non si capisce bene da cosa. Sono quelli che si aprono alle primarie solo quando sono sicuri di vincerle, altrimenti s’inventano ogni stratagemma per impedirle. Sono quelli che non hanno capito che si sta per andare a sbattere e di quanto il PD sia percepito lontano dalla gente; ancora peggio sono quelli che invece l’hanno capito benissimo e nulla stanno facendo per evitarlo: perchè evitarlo equivarrebbe a farsi da parte ed è meglio affondare al comando della nave piuttosto che togliere la zavorra e permettere che la nave si salvi senza di loro (bell’attaccamento alla “Ditta” vien da dire…).

I prossimi giorni saranno cruciali per il futuro del nostro paese, questo Renzi e Bersani lo devono capire. Il secondo non mi sembra voler far niente per vincere, il primo invece che voglia fare fin troppo per vincere…in ogni caso nessuno dei due, ad oggi, sta facendo la cosa realmente giusta per il paese. Aspetteremo ancora…

Quando la Terra trema…l’Uomo risponde!

Vi propongo un’intervista pubblicata sul magazine on-line formiginese l’Appunto nella quale cerco di di raccontare la mia esperienza nelle zone colpite dal sisma.
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Cosa sta accadendo nella Bassa e come reagisce la popolazione al terremoto. Tra tensione e nuove abitudini, una diapositiva da cui ripartire per il futuro.

di Giulia Santunione e Juri Fontana

Da “vicini di casa”, molti di noi hanno modo di ascoltare e di toccare con mano la voglia che quelli della Bassa hanno di rialzarsi. Una voglia che quasi fa invidia. Abbiamo incontrato chi, dalla prima scossa, si trova in quella parte di provincia per farci raccontare come vanno la cose da chi le vede da vicino. Qui con noi, Juri Fontana, giovane modenese impegnato nell’emergenza del sisma sia per professione che per attività di volontariato. Juri in questo mese  ha visitato in pratica tutti i comuni della Bassa, sia nelle sue zone rosse che nei campi di sfollati. Dopo la prima settimana a Finale, si è spostato a Concordia, San Possidonio, San Felice, Camposanto, Carpi, Novi, Medolla, Cavezzo. Ultimamente si trova  soprattutto a Mirandola. In pratica ha fatte l’en plein.

Qual è stata la reazione immediatamente successivo al terremoto che ha colpito l’Emilia da parte del resto della provincia di Modena ( e della regione)?

Già nei primi minuti dopo la scossa della mattina del 20 maggio s’era capita la dimensione dell’emergenza. Le immagini di campanili crollati, vecchi edifici ridotti in mucchi di macerie, che hanno affollato prima la rete e poi le edizioni straordinarie dei TG hanno subito fatto capire che le popolazioni colpite avevano bisogno di aiuti immediati. La Protezione Civile s’è allertata a livello nazionale e ha inviato immediatamente le colonne mobili di molte regioni italiane, mentre molti volontari si precipitavano dalle zone limitrofe verso l’area dell’epicentro senza sapere che cosa si sarebbero trovati di fronte e come sarebbero stati impegnati.

Quali sono state le maggiori difficoltà della protezione civile e dei gruppi di volontari nel gestire l’emergenza?

Nelle primissime ore ci si è dovuti sincerare che non ci fossero persone intrappolate sotto le macerie, non solo all’interno dei centri abitati ma anche nelle campagne isolate. Quindi fornire assistenza sanitaria ai feriti. Poi, il problema maggiore è stato mantenere gli abitanti, scossi e provati dal sisma, a distanza di sicurezza da edifici pericolanti che con le scosse d’assestamento sarebbero potuti crollare definitivamente. In situazioni del genere è difficile tenere ordine e calma, anche perché la tensione di chi presta i primi soccorsi è altissima. Passate le prime ore, gestire l’emergenza significava assicurare ad ogni cittadino un riparo per la notte successiva, qualcosa da mangiare e da bere. Le colonne mobili della Protezione Civile, nel frattempo arrivate da tutta Italia, hanno seguito dei piani comunali già predisposti ed è  iniziato così il montaggio dei campi per gli sfollati.

Protezione Civile a parte, quanto è importante l’aiuto dei volontari che a migliaia lavorano per l’Emilia? Quali sono i ruoli che ricoprono?

E’ un aiuto fondamentale. Oltre al lavoro immenso e svolto con estrema professionalità dai volontari della Protezione Civile, formati ed addestrati a gestire situazioni del genere, sono fondamentali anche i tanti volontari che decidono di mettersi spontaneamente a disposizione. Il tutto deve avvenire sempre in coordinamento coi Comuni e con la Protezione Civile. Inoltre il loro aiuto aiuta a concentrare il personale con più esperienza laddove serve.

Sono tanti i comuni che hanno raccolto materiale da donare…come è gestito il tutto una volta arrivato a destinazione?

I Comuni che donano materiale si interfacciano direttamente con le Amministrazioni comunali delle aree colpite che a loro volta distribuiscono sul territorio il materiale secondo le necessità. Gli aiuti dei Comuni però non riguardano solo oggetti ma anche servizi. Ad esempio mettendo a disposizione dei Comuni terremotati i propri dipendenti: vigili urbani, personale dell’Ufficio Tecnico, ingegneri, operai, per sopperire all’immensa mole di lavoro che altrimenti non si riuscirebbe a smaltire in tempi brevi.

Sono tanti anche i fondi che si stanno accumulando a favore dei terremotati. Come verranno utilizzati

Le associazioni che si sono attivate lanciando raccolte fondi sono numerose. Ognuna deciderà come utilizzare il denaro raccolto e come rendicontarlo. Alcuni si dedicano all’acquisto di beni di prima necessità, mentre altri puntano a dare un aiuto nella ricostruzione vera e propria degli edifici. Chi vuole contribuire, può scegliere cosa finanziare o nell’indecisione suggerisco di versare utilizzando il conto corrente gestito dalla Provincia di Modena per la riattivazione dei servizi scolastici nelle zone colpite dal terremoto.

Ad oggi, le case  non crollate sono state svuotate? Quante persone sono state trasferite in altri comuni non terremotati?  Si conosce il loro futuro più prossimo?

Le case completamente rase al suolo sono solo una minima parte. Molti edifici però, pur essendo in piedi, sono inagibili e alcuni andranno comunque demoliti perchè irrecuperabili. Le verifiche dei Vigili del Fuoco e degli ingegneri stanno giungendo al termine. Solo le case agibili possono essere ri-abitate da subito, tutte le altre rimarranno vuote fino ai lavori di sistemazione, ma in alcuni casi potrebbe volerci molto tempo. Attualmente sono 11.000 i modenesi che non possono rientrare nelle proprie abitazioni, quindi sfollati a tutti gli effetti. Oltre 8.500 sono alloggiati nei 28 campi gestiti dalla Protezione Civile, mentre 2.500 sono stati alloggiati in alberghi della Riviera o dell’Appennino. A questi vanno però aggiunti svariate centinaia di persone che si sono organizzate in campi “auto-gestiti”, persone che hanno la casa agibile ma non se la sentono di rientrarvi, oppure con casa inagibile ma che hanno rifiutato la sistemazione presso i campi ufficiali della Protezione Civile. E’ ovvio che costoro non potranno usufruire degli stessi servizi di chi vive nei campi veri e propri, anche se i Comuni e molti volontari stanno facendo il possibile per rendere loro le cose più semplici.

Com’è che le persone stanno cercando di riprendersi la loro quotidianità? Quale esempio ci stanno lasciando gli Emiliani?

Purtroppo in questa fase è possibile assaggiare la quotidianità a cui molti erano abituati solo a piccoli pezzi. Alcuni sfollati hanno ricominciato a lavorare, chi in stabili che comunque hanno retto, chi a Modena, Ferrara, in zone meno colpite dal sisma. Molti s’organizzano per uscire con gli amici di sempre, andare in vacanza al mare (magari in anticipo rispetto al solito). Ma quando si rientra alla sera si torna a dormire in una tenda e non nella propria casa.

La convivenza dopo settimane di tendopoli diventa sempre più un esercizio di pazienza e tolleranza. Il caldo torrido di questi giorni non aiuta e vivere da più di un mese in tende da dieci posti a stretto contatto con estranei, fare la fila per la mensa tre volte al giorno, avere a disposizione solo bagni chimici o un paio di docce in un container per centinaia di persone… Tutto ciò metterebbe a dura prova chiunque. Certo, nei campi possono capitare momenti di tensione e qualche testa calda coglie sempre l’occasione per comportarsi come non dovrebbe. Ma in generale ciò che non si sarebbe ritenuto tollerabile nella normalità viene sopportato senza battere ciglio da molti ospiti dei campi. Le piccole difficoltà che fino a qualche tempo fa avrebbero rovinato la giornata, oggi vengono superate con un sorriso. Gli Emiliani (sia “autoctoni che trapiantati”) sono sempre stati famosi per il loro pragmatismo, ed è nella difficoltà che si manifesta tutto lo spessore di questa gente.

Oltre ai soldi per la ricostruzione, di cosa in questo momento la gente della Bassa ha più bisogno?

Ormai è alle spalle la gestione dell’emergenza vera e propria. Molti, assorbito lo shock, stanno iniziando a chiedersi cosa succederà. I prossimi mesi saranno cruciali per la ripartenza. Penso proprio alla parola “ripartenza”  piuttosto che a “ricostruzione”, perchè se la prima implica sempre la seconda, non è detto il contrario. Il ruolo delle istituzioni non può e non deve esaurirsi con la risistemazione dei muri di un municipio. Gli Emiliani non hanno bisogno di uno Stato che si presti solo ad aprire a momenti alterni (viste le ristrettezze economiche) il rubinetto dell’elemosina. Servono certezze e determinazione. Piani strutturali di distretto e a lungo termine. Ogni Euro investito nella ripartenza di questa splendida terra, operosa e solidale, frutterà doppio al paese intero. Non dimentichiamo che è stata colpita un’area che produce da sola quasi il 2% del PIL nazionale. Non si dovrà mai dare l’impressione di voler prolungare il temporaneo in definitivo.

Il terremoto ha colpito forte ma non è stato un colpo da KO: siamo in ginocchio, ma l’arbitro sta ancora contando i secondi e nelle gambe c’è la forza per rialzarsi. Gli Emiliani ci stanno mettendo tutta la determinazione e la voglia. Ma sta anche a chi governa dare la sicurezza che ogni minimo ostacolo burocratico verrà prontamente rimosso per evitare di avere anche solo per un secondo voglia di gettare la spugna.

qui li link all’articolo originale

Terrorizzare o prevenire? Il ruolo dello Stato nelle calamità naturali.

E’ notizia di qualche giorno fa dell’allarme che la Commissione Grande Rischi ha diffuso in merito ad eventuali nuove scosse nelle zone già colpite dal sisma del 20 e 29 maggio e della marea di polemiche che ha sollevato tra amministratori e sfollati. Nel frattempo aumenta sempre di più la rabbia degli imprenditori che accusano la “burocrazia” di bloccare ingiustamente l’apertura degli stabilimenti e di portare così il distretto economico della Bassa Modenese a spegnersi lentamente.
Tutto questo da lo spunto per riflettere sul ruolo dello Stato durante un’emergenza come quella del terremoto emiliano.

E’ burocrazia o prevenzione non aprire i capannoni senza certificato di anti-sismicità, prima che siano effettuati lavori di messa in sicurezza? E’ vero che nessuno prima del 20 maggio si preoccupava della sicurezza dei luoghi di lavoro. Lo Stato ha implicitamente la responsabilità di aver sottovalutato negli anni il rischio sismico. Ma è altrettanto vero che una volta manifestatosi il rischio, in modo ahimè tragico, lo Stato non ha altre strade che utilizzare il principio di precauzione, per diminuire al massimo la vulnerabilità dal sisma di cose e soprattutto persone.

Non c’è alternativa! Capisco lo sgomento degli imprenditori e dei lavoratori e la frustrazione di amministratori locali e cittadini nell’apprendere gli effetti concreti delle risultanze delle riunioni tra i VV.FF., della Protezione Civile e i sismologi della Commissione Grandi Rischi.
Non capisco l’acredine però. Lo Stato è lento, manca di flessibilità e fa pesare sulla gente tutte le sue inefficienze. Ma lo Stato deve fare quello che ci si aspetta da chi amministra la comunità al più alto livello. Ora come ora questo ruolo è PROTEGGERE. Anche a costo di perdere produttività. Ai più sembrerà retorica, ma perdere la vita non è minimamente paragonabile a perdere un mese di stipendio. Quindi vista la sproporzione tra i due rischi, viene ampiamente compensata la sproporzione tra la probabilità (bassa) di ulteriori forti scosse, rispetto alla probabilità (più alta) che il sisma vada attenuandosi.

La speranza che tutto finisca al più presto e che si lasci spazio così alla voglia di ricominciare una volta per tutte, è forte. Ma insieme alla speranza ci dobbiamo dotare un’altra “virtù”: la pazienza. Di pazienza avremo bisogno nei prossimi mesi e anche nei prossimi anni. Finiti gli “ostacoli” posti dalla natura, inizieranno gli ostacoli posti dagli uomini. Andranno evitati con la massima determinazione, ma senza cedere al nervosismo nemmeno per un secondo, perchè così facendo si perderebbe solo di determinazione ed efficienza. L’Emilia ha bisogno di lucidità, mancarne sarebbe inevitabilmente un torto verso una comunità che soffre e che ha bisogno di essere guidata e non distratta!